📋 Descrizione
📖 Contesto: chi è Fabio Panetta e perché parla di Bitcoin
Nel giugno 2023 Fabio Panetta, oggi Governatore della Banca d’Italia ed ex membro del comitato esecutivo della BCE, ha pubblicato un lungo intervento critico su Bitcoin e, più in generale, sui cripto-asset. Il testo si proponeva di analizzare il fenomeno delle criptovalute, ma fin dalle prime righe emerge una costante sovrapposizione fra Bitcoin e l’insieme indistinto delle “crypto”.
Questa confusione terminologica non è un dettaglio: consente di attribuire a Bitcoin tutti i difetti, gli scandali e le distorsioni proprie di un settore eterogeneo, spesso speculativo e centralizzato, ignorando le differenze strutturali, tecniche e persino etiche che lo distinguono dalle altre criptovalute.
💡 Bitcoin ≠ “le cripto”: la distinzione fondamentale
Uno dei problemi di fondo dell’intervento di Panetta è la mancata distinzione tra:
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Bitcoin: protocollo decentralizzato, con offerta limitata, sicurezza garantita da proof-of-work, architettura orientata alla resistenza alla censura.
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Crypto generiche (altcoin, token, stablecoin, memecoin, ecc.): progetti estremamente variabili, spesso centralizzati, con team, fondazioni, società, token pre-minati, meccanismi di governance discrezionali.
Molte critiche rivolte da Panetta alle “criptovalute” risultano sensate se riferite al mondo delle altcoin, ma diventano fuorvianti quando vengono applicate in blocco anche a Bitcoin. In altre parole: si parte citando Satoshi Nakamoto e si finisce a parlare di memecoin, stablecoin opache e schemi pseudo-finanziari, come se tutto fosse lo stesso fenomeno.
⚡ Dai pagamenti decentralizzati al presunto “gioco d’azzardo”
Secondo Panetta, la narrativa originaria delle criptovalute – “denaro digitale decentralizzato” – sarebbe fallita con la congestione della rete Bitcoin nel 2017 e l’aumento delle fee, per poi spostarsi sull’idea di “oro digitale” e, infine, degenerare in gioco d’azzardo speculativo.
Questa ricostruzione trascura alcuni punti decisivi:
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Bitcoin è progettato per avere fee crescenti sul layer base: non è un bug, ma un elemento del modello di sicurezza di lungo periodo. Le commissioni elevate segnalano domanda di spazio nel blocco, non un fallimento tecnico.
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Dal 2017 è emersa e maturata l’architettura Lightning Network ⚡, che consente:
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pagamenti istantanei,
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costi quasi nulli,
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scalabilità ordini di grandezza superiori ai circuiti tradizionali.
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Il concetto di “oro digitale” non è una “narrazione di marketing”, ma una conseguenza logica di alcune proprietà di Bitcoin: scarsità assoluta, divisibilità, portabilità, verificabilità, resistenza alla censura.
L’uso speculativo è innegabile e spesso predominante nel breve periodo, ma ridurre l’intero fenomeno Bitcoin a gioco d’azzardo ignora la sua funzione come infrastruttura monetaria alternativa, soprattutto nei contesti di forte instabilità valutaria o repressione finanziaria.
📊 Bolle, crolli e “inverno cripto”: responsabilità reali
Panetta sottolinea l’“inverno delle criptovalute” dal 2021, i crolli di mercato e le perdite per milioni di investitori, collegando questi eventi alla natura intrinsecamente fragile e priva di valore dei cripto-asset.
Alcuni elementi vengono però omessi o compressi:
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Le bolle speculative esistono e sono esistite ben prima delle crypto: dot-com (2000), crisi dei mutui subprime (2008), cicli immobiliari, bolle azionarie storiche.
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Gran parte dei danni maggiori nel settore cripto è stata causata da dinamiche tipicamente “Fiat”:
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leva e derivati estremi,
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riserve frazionarie sugli exchange,
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uso disinvolto dei depositi dei clienti,
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prodotti di rendimento opachi e non sostenibili.
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Questi schemi non sono conseguenze inevitabili della tecnologia Bitcoin, ma replica – spesso peggiorata – delle logiche già viste nel sistema finanziario tradizionale.
Collegare meccanicamente “crolli di mercato” e “fallimento tecnologico” di Bitcoin ignora il dato che, su orizzonti pluriennali, BTC è stato uno degli asset con performance migliori, pur attraversando cicli estremamente volatili.
🧠 Valore intrinseco: davvero Bitcoin vale “zero”?
Uno dei passaggi più discussi è l’affermazione secondo cui i cripto-asset sarebbero privi di valore intrinseco, per cui i loro prezzi dipenderebbero unicamente da narrativa, rischio e propensione alla speculazione.
Questa tesi presenta almeno tre criticità:
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Le valute Fiat sono, di fatto, non convertibili in alcun bene fisico, non hanno limite di emissione e il loro “valore” è principalmente garantito da:
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potere coercitivo dello Stato (tasse, obblighi legali),
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politica monetaria della banca centrale,
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forza economica e militare complessiva.
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Bitcoin richiede:
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energia, hardware, competenze tecniche,
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un sistema globale di nodi e miner,
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un protocollo aperto, verificabile, resistente alla censura.
Il costo di produzione e l’infrastruttura di sicurezza non sono “marketing”, ma input economici reali.
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L’uso concreto di Bitcoin come:
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riserva di valore alternativa nei contesti di alta inflazione o instabilità politica,
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rete di pagamento globale (spesso integrata con Lightning ⚡),
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strumento di rimessa a basso costo per lavoratori migranti,
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asset neutrale rispetto ai confini statali,
costituisce una forma di utilità, e dunque di valore, che non può essere liquidata come “zero intrinseco”.
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Se la definizione di “valore intrinseco” viene applicata in modo così restrittivo
da escludere Bitcoin, diventa difficile giustificare anche il valore intrinseco delle stesse banconote contemporanee.
🛠️ Blockchain, trilemma e presunti limiti insuperabili
Panetta richiama il noto “trilemma della blockchain”: non sarebbe possibile massimizzare contemporaneamente sicurezza, decentralizzazione e scalabilità. Questo è sostanzialmente corretto sul piano teorico, ma viene usato per trarre conclusioni discutibili.
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Bitcoin accetta consapevolmente di sacrificare la scalabilità sul layer base per mantenere:
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sicurezza elevatissima (proof-of-work, rete globale di nodi),
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decentralizzazione (chiunque può verificare la catena con un nodo proprio).
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La scalabilità è demandata a layer superiori (Lightning, sidechain, soluzioni off-chain), esattamente come avviene nei sistemi di pagamento tradizionali basati su un’infrastruttura di regolamento centrale e livelli applicativi sovrastanti.
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Affermare che “Bitcoin può gestire solo 7 transazioni al secondo” senza menzionare Lightning Network equivale a descrivere soltanto lo strato di regolamento, ignorando l’ecosistema di secondo livello che ne amplia concretamente l’uso quotidiano.
La critica secondo cui le blockchain pubbliche sarebbero “inutili”, ma potrebbero tornare utili se privatizzate e controllate da autorità centrali (es. per supply chain o CBDC), rovescia il senso originario della tecnologia: la blockchain nasce proprio per eliminare la necessità di un ente fidato centrale.
🌱 Energia e ambiente: il mining come “nemico verde”?
Un altro pilastro dell’argomentazione è la presunta impronta di carbonio spropositata del proof-of-work, considerata incompatibile con gli obiettivi di transizione ecologica.
Questo approccio ignora elementi essenziali:
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Il consumo energetico va confrontato con la funzione svolta. Bitcoin fornisce:
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un registro globale, aperto, resistente alla censura,
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una forma di denaro digitale non dipendente da Stati o banche centrali.
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In molti casi il mining:
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sfrutta energia altrimenti sprecata (gas flaring, surplus di rinnovabili),
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stabilizza reti elettriche fungendo da carico flessibile,
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incentiva nuovi impianti rinnovabili rendendo economicamente sostenibile la produzione anche in aree non ancora collegate a grandi centri di consumo.
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Molte delle attività che consumano più energia (modello consumistico globale, catene logistiche, data center pubblicitari, ecc.) raramente vengono discusse con la stessa severità con cui ci si concentra su Bitcoin.
L’argomento ambientale è legittimo, ma richiede analisi comparativa e non slogan. La questione non è “Bitcoin consuma energia?”, ma “quale servizio offre in cambio di quell’energia rispetto alle alternative?”.
🔑 Self-custody, irreversibilità e proprietà del denaro
Panetta sottolinea come l’assenza di un’autorità centrale e l’immutabilità delle transazioni rappresentino un rischio operativo: l’utente deve custodire le proprie chiavi, non esistono annullamenti di pagamenti, la perdita delle credenziali può essere definitiva.
Questi aspetti, presentati solo come difetti, sono in realtà il cuore della proposta di Bitcoin:
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Self-custody significa poter detenere il proprio patrimonio senza dipendere da banche, intermediari o Stati. È un onere, ma anche una tutela senza precedenti contro abusi, confische arbitrarie, blocchi discrezionali dei conti.
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Irreversibilità significa che, una volta regolata, una transazione non può essere manipolata da terzi. Questo riduce lo spazio per censura, chargeback fraudolenti, abusi di potere.
È corretto rilevare che non tutti gli utenti desiderano o sono in grado di gestire direttamente chiavi private e backup complessi. Ma da qui a definire questi principi come “problemi” da eliminare, il passo è lungo: sono invece caratteristiche fondamentali di una finanza realmente non dipendente da arbitri centrali.
📉 Volatilità, inflazione e gestione del risparmio
Panetta insiste sull’alta volatilità di Bitcoin rispetto ad azioni e oro, concludendo che non può essere una buona riserva di valore né un’unità di conto affidabile per famiglie e imprese.
La questione va distinta tra:
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Breve periodo: la volatilità di Bitcoin è effettivamente elevata. Usarlo come strumento di pagamento principale o come cuscinetto di liquidità quotidiana è complesso, soprattutto in economie stabili.
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Lungo periodo: in orizzonte pluriennale, molti risparmiatori in valute deboli hanno sperimentato l’opposto:
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la certezza matematica della perdita di potere d’acquisto della moneta locale,
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contro la possibile rivalutazione (pur volatile) di Bitcoin.
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Dire che “Bitcoin non protegge dall’inflazione” solo perché il suo prezzo oscilla, senza confrontarlo con la perdita strutturale delle valute Fiat nel tempo, offre una visione parziale. Molti individui preferiscono affrontare una volatilità bidirezionale rispetto alla certezza di erosione del potere d’acquisto.
🚨 Criminalità, evasione e mercato nero: Bitcoin come capro espiatorio
Un altro passaggio chiave è l’uso di Bitcoin e criptovalute per aggirare controlli sui capitali, sanzioni e regolamentazioni, fino a suggerire che sia uno strumento privilegiato per traffici illeciti.
Alcune precisazioni sono indispensabili:
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Bitcoin è pseudonimo ma trasparente: ogni transazione è registrata su una blockchain pubblica e analizzabile. Non è affatto lo strumento ideale per chi desidera anonimato totale.
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Il contante Fiat resta, secondo i dati di organismi internazionali, il mezzo di gran lunga più utilizzato per traffici illegali, corruzione, evasione.
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Le principali strategie di elusione fiscale internazionale si basano su architetture legali e bancarie tradizionali (paradisi fiscali, strutture societarie complesse, ruling fiscali, ecc.), non su Bitcoin.
Ammettere che Bitcoin possa essere usato anche per scopi illeciti è doveroso; presentarlo come emblema di questi fenomeni, ignorando il ruolo dominante del sistema Fiat in tali pratiche, è fuorviante.
🏦 Centralizzazione degli exchange e scandali: non è un difetto di Bitcoin
Nel testo vengono ricordati i casi FTX, le difficoltà di varie stablecoin, le indagini su grandi exchange centralizzati. Da questi episodi Panetta fa discendere la conclusione che l’ecosistema cripto nel suo complesso sarebbe intrinsecamente fragile e intriso di rischi sistemici.
La distinzione cruciale è:
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Infrastruttura Bitcoin: protocollo, blockchain, nodi, regole di consenso, funzionamento del proof-of-work. Finora sempre operativo, senza rollback di catena, senza salvataggi esterni.
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Servizi centralizzati costruiti sopra: exchange, piattaforme di lending, emittenti di stablecoin, fondi e prodotti derivati, soggetti a:
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riserve frazionarie,
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mala gestione,
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uso improprio dei fondi dei clienti.
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FTX, ad esempio, non è collassato perché “Bitcoin non funziona”, ma perché una società privata ha gestito in maniera opaca e fraudolenta i depositi, in un contesto di regolamentazione permissiva e supervisione inadeguata, dinamiche già viste nella storia della finanza tradizionale.
📬 Stablecoin, DeFi e parassitismo sul sistema tradizionale
Panetta sottolinea come una parte rilevante dell’industria cripto cerchi di ancorarsi al sistema finanziario tradizionale, in particolare tramite stablecoin legate al dollaro o all’euro e forti relazioni con banche e infrastrutture di pagamento.
Questa osservazione è condivisibile:
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Le stablecoin centralizzate dipendono da riserve in valuta Fiat e da soggetti che ne garantiscono l’emissione e il rimborso. In molti casi replicano, con minori controlli, rischi di disallineamento simili ai fondi del mercato monetario.
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Il loro proliferare dimostra che buona parte del mercato cripto non vuole abbandonare il paradigma Fiat, ma solo renderlo più fluido, meno regolato e più facilmente scambiabile 24/7.
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L’uso di stablecoin per alimentare leva, speculazione e rendimenti artificiosi rende plausibili molte critiche sui rischi sistemici e sulla natura di “gioco d’azzardo” di una larga fetta del settore.
Tutto questo, però, non descrive Bitcoin, che non ha emittenti, non ha riserve, non ha promesse di rimborso e non necessita di un “aggancio” a monete Fiat per esistere.
💶 La proposta alternativa: euro digitale e CBDC
Dopo una lunga demolizione del mondo cripto, il testo di Panetta approda alla soluzione auspicata: valute digitali di banca centrale (CBDC), come il futuro euro digitale.
Secondo l’autore, una CBDC:
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fornirebbe una forma digitale di denaro di banca centrale, sicura e priva di rischio di controparte,
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preserverebbe la sovranità monetaria nell’era digitale,
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faciliterebbe l’interoperabilità tra pagamenti privati e pubblici,
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potrebbe essere implementata anche sfruttando tecnologie ispirate alla blockchain, ma in forma centralizzata e permissioned.
Questo approccio mette in luce una contraddizione:
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la blockchain pubblica e permissionless viene descritta come “inefficiente, non scalabile, inutile”;
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una volta inserita in un contesto centralizzato e sotto controllo della banca centrale, la medesima tecnologia improvvisamente appare come innovativa e utile.
In sostanza, ciò che viene rifiutato non è tanto la tecnologia in sé, quanto l’idea di un denaro digitale non emesso dallo Stato. L’obiettivo dichiarato è mantenere il controllo sulla base monetaria e sull’infrastruttura dei pagamenti, argomentando che solo così si possa garantire stabilità e tutela del pubblico.
🔍 Regolamentazione: protezione o legittimazione?
Panetta propone tre linee di azione per il settore pubblico:
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Non sostenere l’industria cripto con strumenti pubblici (es. accesso diretto al bilancio delle banche centrali per le stablecoin).
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Regolamentare in modo rigoroso tutte le attività legate ai cripto-asset, inclusi DeFi e wallet non custodial, ove possibile.
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Promuovere alternative pubbliche come le CBDC.
Alcune cautele sono condivisibili: evitare che i risparmiatori colleghino automaticamente “regolamentato” a “privo di rischio” è fondamentale. Altre proposte, come la volontà di regolamentare anche ciò che è realmente decentralizzato, rivelano un certo attrito concettuale: se un sistema è disegnato per essere permissionless e globale, immaginare di sottometterlo interamente a regole nazionali significa non coglierne la natura tecnica.
Nel complesso, la regolamentazione proposta sembra perseguire un duplice obiettivo:
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controllare e comprimere l’espansione delle cripto centralizzate che imitano il sistema tradizionale senza gli stessi vincoli;
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mantenere il monopolio dell’emissione monetaria e della definizione di cosa sia “buon denaro”, scoraggiando di fatto le alternative non statali.
🧭 Il nodo di fondo: onestà intellettuale e preparazione tecnica
Dalla lettura complessiva del testo emergono alcuni elementi ricorrenti:
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Confusione sistematica tra Bitcoin e il mondo eterogeneo delle crypto, con generalizzazioni che attribuiscono al primo tutti i difetti delle seconde.
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Omissione di sviluppi chiave come Lightning Network ⚡ quando si parla di scalabilità e pagamenti quotidiani.
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Uso selettivo di argomenti ambientali, criminali e di rischio sistemico, senza un confronto equilibrato con gli analoghi problemi del sistema Fiat.
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Valutazione negativa della decentralizzazione quando è fuori dal controllo pubblico, ma riabilitazione di tecnologie simili quando integrate in progetti come l’euro digitale.
Tutto ciò lascia aperta la domanda se si tratti principalmente di incomprensione tecnica, di una lettura ideologica del fenomeno o di una difesa deliberata dello status quo monetario. In ogni caso, il livello di analisi mostrato in un documento di tale rilevanza istituzionale contribuisce a far emergere un forte scollamento tra la realtà tecnica di Bitcoin e la sua narrazione ufficiale presso le grandi istituzioni.
👉 In sintesi:
Il paper di Fabio Panetta propone un quadro fortemente critico delle criptovalute, mescolando però in modo sistematico Bitcoin e l’insieme delle “crypto”. Alcune critiche sono fondate quando rivolte a stablecoin opache, altcoin centralizzate, piattaforme speculative e schemi di rendimento insostenibili. Tuttavia, applicarle indistintamente anche a Bitcoin significa ignorare:
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la specificità tecnica di Bitcoin come rete decentralizzata, resistente alla censura, con offerta limitata e sicurezza proof-of-work;
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l’esistenza di layer di scalabilità come Lightning Network, che affrontano il problema dei pagamenti quotidiani;
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il ruolo sociale di Bitcoin in contesti di inflazione elevata, controlli sui capitali e repressione finanziaria;
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il fatto che molti scandali del settore derivino da dinamiche tipicamente Fiat (leva eccessiva, riserve frazionarie, cattiva governance), non dal protocollo in sé.
In parallelo, il testo prepara il terreno a un sistema di valute digitali di banca centrale, che riprendono alcuni elementi tecnologici della blockchain, ma rinunciano totalmente alla decentralizzazione per rafforzare la sovranità monetaria statale. Questo chiarisce la posta in gioco: non una disputa puramente tecnica, ma una scelta di modello di denaro per il futuro, tra controllo centrale e infrastrutture aperte come Bitcoin.