Bitcoin tutti uguali… o no?
Se ti dicessi che oggi esiste un mercato in cui alcuni satoshi vengono venduti a un prezzo più alto degli altri, potresti pensare che sia una follia 🤯. In teoria 1 bitcoin è sempre uguale a 1 bitcoin, e 1.000 satoshi che mi invii tu valgono quanto 1.000 satoshi che ti invio io. Ma nella pratica sta nascendo una nicchia di mercato che tratta i cosiddetti Bitcoin “vergini”, cioè appena minati, senza storia alle spalle, a un leggero sovrapprezzo. E questo apre subito il tema: “fungibilità” di bitcoin messa in discussione?
Cosa sono i Bitcoin “vergini”
Parto dalla definizione semplice: si parla di virgin bitcoin quando quei satoshi arrivano direttamente dalla ricompensa di un blocco minerato, senza nessuna transazione precedente. In gergo tecnico sono UTXO che derivano solo dalla coinbase transaction del blocco, cioè l’output che crea nuova offerta di bitcoin come premio per il miner ⛏️.
Vari servizi e marketplace, nel tempo, hanno provato a vendere questi Bitcoin appena minati con la promessa di una sorta di “certificato di purezza”: niente storia pregressa, nessun legame (almeno visibile) con attività illecite, più tranquillità dal punto di vista della compliance. È una nicchia, ma è reale: alcuni operatori pubblici e privati pagano un premio rispetto al prezzo di mercato per questa caratteristica.
Perché qualcuno sarebbe disposto a pagare di più?
Qui entra in gioco il mondo della regolamentazione e della sorveglianza on-chain. La trasparenza radicale di bitcoin permette alle società di analisi (le classiche Chainalysis & co.) di associare certi UTXO a indirizzi collegati, con vari gradi di probabilità, a reati, truffe, ransomware, mercati neri, sanzioni internazionali, e così via 🔍.
Ora, immagina una banca centrale, un fondo pensione o una grande azienda che vuole accumulare bitcoin in bilancio come riserva strategica. Dal loro punto di vista, avere UTXO appena creati dalla rete, con zero passaggi alle spalle, è comodo a livello di documentazione: niente discussioni su possibili “taint”, niente rischi reputazionali se un domani un regolatore decide di prendersela con certi flussi storici. Per loro, pagare un 2–10% in più per eliminare frizioni legali può avere senso 📈.
Il nodo della fungibilità: è davvero un problema per bitcoin?
Qui arriva la domanda grossa: se alcuni bitcoin vengono trattati come “più puliti” (e quindi più costosi) e altri come “sospetti” (e quindi scontati o addirittura rifiutati da certi intermediari), allora bitcoin non è più fungibile? In teoria fungibile significa che ogni unità di un bene è indistinguibile e perfettamente sostituibile con un’altra. Come una moneta da 1 euro rispetto a un’altra: chi la riceve non sta lì a chiedersi la storia di quella specifica moneta 🪙.
Nel caso di bitcoin, a livello protocollo, tutti i satoshi sono trattati in modo identico. La rete non conosce “vergini”, “regolari” o “macchiati”: conosce solo UTXO validi o non validi. Il problema nasce fuori dal protocollo, nel modo in cui esseri umani, stati, istituzioni e aziende scelgono di discriminare certe storie delle transazioni. È un problema sociale e legale, non matematico o crittografico 💡.
Il paragone con l’oro: certificati, lingotti e “purezza”
Per capire meglio, ti porto su un terreno che conosciamo da secoli: oro fisico 🪙. Anche lì, in teoria, un’oncia d’oro è un’oncia d’oro. Ma nella pratica esistono lingotti con certificazioni diverse: refiner accreditato Good Delivery, numeri di serie, certificati di provenienza, controlli anti-riciclaggio. Alcune forme di oro (per esempio lingotti con certificazione riconosciuta a livello internazionale) si vendono con un premio maggiore rispetto ad altre, proprio perché sono più facili da accettare come collaterale o da movimentare tra istituzioni.
Quindi sì, il concetto di “oro con certificato migliore” esiste già, e non per questo l’oro smette di essere usato come riserva di valore globale. Semplicemente, in certi contesti istituzionali si paga un po’ di più per evitare grane burocratiche. Con bitcoin sta succedendo la stessa cosa: nasce un mercato di “certificazioni” (più o meno credibili) che rassicurano avvocati, compliance officer e consiglieri di amministrazione 😅.
Bitcoin trasparente per design: perché la storia conta
Una cosa che spesso sottovalutiamo è che la trasparenza di bitcoin è voluta. La rete deve poter verificare tutto: quantità, spesa, non doppia-spesa. Questo richiede uno storico pubblico delle transazioni, cioè la blockchain. Dal punto di vista della sicurezza monetaria è un enorme vantaggio: chiunque può controllare che l’offerta segua le regole fissate dal consenso della rete 🔐.
Dall’altro lato, però, questa trasparenza permette anche di ricostruire gran parte della genealogia delle monete. Tu magari vedi solo “indirizzi”, ma con analisi statistiche e correlazioni off-chain si riescono a etichettare certe attività: exchange, mixer, dark market, on-ramp regolati, e così via. È qui che nascono le etichette tipo “tainted” o “vergine”. Non sono proprietà interne ai satoshi, ma interpretazioni che qualcuno applica sopra i dati pubblici 📊.
Come funziona un mercato di Bitcoin “vergini”
Da utente, l’idea è semplice: invece di comprare bitcoin da un exchange qualsiasi, ti rivolgi a un operatore che lavora direttamente con i miner. Il miner, quando riceve la ricompensa del blocco, la indirizza subito a un tuo indirizzo, oppure la passa a un intermediario che ti garantisce (con la sua reputazione) che quei satoshi arrivano direttamente dalla coinbase transaction e non sono mai transitati altrove 💼.
In cambio di questa garanzia, tu paghi di più rispetto al prezzo spot. Il premio varia a seconda della domanda: istituzioni molto rigide, fondi regolamentati, soggetti che vogliono azzerare il rischio di “stigma” legato alla provenienza. È un mercato di nicchia, non il grosso della liquidità di bitcoin. Ma esiste, e fa molto parlare perché tocca esattamente il tema: sono ancora tutti satoshi uguali? 🤔
Perché non è la fine della fungibilità di bitcoin
Ora ti dico come la vedo io, da massimalista: questo fenomeno è più un rumore di fondo che un attacco mortale alla fungibilità di bitcoin. Ti elenco i motivi principali:
- A livello di protocollo i nodi non riconoscono alcuna differenza tra “vergine” e “non vergine”. O l’UTXO è valido oppure no. Fine.
- Il mercato retail (utenti comuni, piccole aziende, uso quotidiano) non ha interesse concreto a pagare premi o sconti in base alla storia remota dei satoshi.
- L’analisi on-chain non è infallibile: è probabilistica, piena di assunzioni. Può sbagliare, e questo limita molto la fiducia cieca in etichette come “tainted” o “clean”.
- L’uso di strumenti di privacy (CoinJoin, PayJoin, Lightning, tecniche di batching, ecc.) rende sempre più difficile tracciare catene precise di provenienza, erodendo questa pretesa di classificare ogni satoshi.
- Proprio come sull’oro, le eventuali differenze di premio restano confinate a transazioni tra grossi player e a segmenti istituzionali molto regolamentati.
Quindi sì, esiste un piccolo mercato di bitcoin “vergini”, ma non significa che domani la tua transazione sarà bocciata perché non hai satoshi di prima scelta. Nella pratica quotidiana, 1 sat rimane 1 sat e il potere monetario di bitcoin come denaro duro non cambia 🧱.
Rischi e paradossi di questa narrativa
C’è un altro aspetto che a me fa sorridere: più si spinge la narrativa del “bitcoin buono” e “bitcoin cattivo”, più si rafforza, per contrasto, la natura censorship resistant di bitcoin. Se un certo exchange o una certa banca iniziano a discriminare pesantemente alcune monete, gli utenti hanno un incentivo ancora più forte a:
- uscire dalle piattaforme custodial e usare wallet non custodial;
- spostare attività su layer come Lightning, dove gran parte del routing avviene off-chain;
- accettare pagamenti direttamente, peer to peer, senza intermediari che giudicano la “moralità” dei satoshi;
- ignorare completamente queste etichette quando fanno transazioni tra privati.
In altre parole, il tentativo di introdurre un’ipocrisia di facciata per le istituzioni (bitcoin “pulito” a bilancio, mentre il resto del mondo gira normalmente) non indebolisce bitcoin come sistema monetario globale. Anzi, mette ancora più in luce il motivo per cui esiste: togliere ai gatekeeper il potere di decidere quale denaro è degno di essere speso 💣.
Conclusione: preoccuparti? No. Capire cosa sta succedendo? Sì.
Riassumo la faccenda in poche righe. Alcuni operatori stanno provando a creare un mercato di Bitcoin “vergini”, pagati a premio, per rispondere alle ansie normative e reputazionali di stati, banche e grandi fondi. Questo può sembrare, a prima vista, una minaccia alla fungibilità di bitcoin. In realtà è un’evoluzione naturale già vista con l’oro: lingotti certificati, catene di custodia controllate, e un po’ di marketing attorno alla parola “purezza” 😉.
Bitcoin resta fungibile a livello protocollo, e nella vita reale di chi accumula per sé, si fa pagare in satoshi o fa DCA ogni mese, questo fenomeno rimane un dettaglio marginale. È utile conoscerlo per capire come si muoveranno le istituzioni nel tempo, ma non cambia il punto centrale: bitcoin è lo standard, tutto il resto – certificazioni, premi, “verginità” – è solo rumore sovrapposto da un sistema fiat che fa fatica ad accettare la neutralità radicale del denaro digitale più duro che abbiamo.



