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Rassegna Bitcoin: tra disinformazione, mercati nervosi e nuove sfide per la sovranità digitale

Tempo di lettura: 13 minuti

Introduzione: quando la disinformazione incontra Bitcoin 📰

Negli ultimi giorni un articolo de L’Espresso, intitolato “Quella sporca moneta”, è riuscito a concentrare in poche righe quasi tutto ciò che non va nel modo in cui i media tradizionali raccontano Bitcoin: simboli inventati, numeri fuori scala, allusioni a spionaggio, riciclaggio e Cremlino, il tutto condito da una profonda incomprensione della tecnologia di cui si sta parlando.

La copertina del numero del 27 novembre 2025 mostra una moneta dorata con un triangolo impossibile, descritta come “il simbolo di Bitcoin”. Chiunque abbia anche solo sfiorato l’argomento sa che il simbolo è una B stilizzata, punto. L’oggetto in copertina è letteralmente inesistente, tanto quanto la comprensione del fenomeno che traspare dal pezzo. Se vuoi farti un’idea diretta del taglio del servizio, puoi leggere l’articolo completo de L’Espresso su Bitcoin.

Per il lettore alle prime armi, questo è il contesto perfetto per capire perché serve informazione seria su Bitcoin: quando giornali storici faticano persino a riportarne il simbolo corretto, diventa urgente andare alle fonti tecniche, ai dati e agli studi, non agli slogan. In questo articolo facciamo proprio questo: usiamo le notizie della settimana per spiegare, in modo chiaro, che cosa sta succedendo davvero nel mondo di Bitcoin. 💡

Bitcoin “moneta delle spie”? Cosa c’è dietro la narrativa del riciclaggio 🕵️‍♂️

L’Espresso racconta Bitcoin come “canale preferito del riciclaggio”, “metodo di pagamento delle spie al soldo del Cremlino” e via discorrendo. È una narrativa che funziona bene in copertina: fa paura, fa clic, crea un nemico perfetto. Ma quanto è aderente alla realtà? 🤔

Partiamo da un concetto chiave spesso ignorato: Bitcoin è una rete pubblica e tracciabile. Ogni transazione è registrata su una blockchain visibile a chiunque. Questo non significa che sia semplice collegare ogni indirizzo a una persona, ma significa che lascia una scia permanente. Non è un caso se molte indagini internazionali su crimini finanziari partiti da Bitcoin si concludono proprio grazie alla trasparenza on-chain. Al contrario, il contante tradizionale resta di gran lunga lo strumento più anonimo e difficile da rintracciare.

La vera domanda che dovremmo farci è: perché continuare a dipingere Bitcoin come “moneta sporca” ignorando volutamente il quadro completo? Invece di fare un’analisi comparata tra l’uso criminale dell’euro, del dollaro, dell’oro e di Bitcoin, ci si ferma al titolo ad effetto. Chi paga il prezzo di questa superficialità sono soprattutto i piccoli risparmiatori, che vengono allontanati da uno strumento nato per restituire sovranità monetaria alle persone comuni. 🧠

Uno studio accademico conferma: i ban non fermano Bitcoin 📚

Mentre parte della stampa continua a rappresentare Bitcoin come un giocattolo per criminali che gli Stati possono “spegnere” a comando, la ricerca accademica comincia a dire esattamente il contrario. Un recente studio citato anche da Bitcoin News su X ha analizzato 19 paesi nell’arco di 11 anni (2013–2024) per capire che effetto abbiano davvero i divieti governativi sul funzionamento della rete.

Risultato: anche sotto ban molto rigidi, il network decentralizzato di Bitcoin continua a funzionare e i mercati restano integrati. Paesi come Cina e Russia, spesso citati come esempio di durezza, sono riusciti solo in parte a limitare l’accesso, ma non hanno minimamente “spento” Bitcoin. La ragione è tecnica e molto semplice: la rete si basa su nodi distribuiti in tutto il mondo, non su un server centrale che si può staccare dalla presa.

Per chi è nuovo all’argomento, questo è un punto fondamentale: Bitcoin non è un’app aziendale, ma un protocollo aperto che chiunque può eseguire, ovunque. Gli Stati possono rendere più difficile l’uso regolando intermediari, banche e exchange, ma non possono impedire a due individui di scambiarsi una transazione firmata crittograficamente. È il motivo per cui la comunità ripete da anni che Bitcoin è incensurabile. Ora non è più solo un mantra degli appassionati, ma un dato che entra nelle pubblicazioni accademiche. 📖

Mercati nervosi: il ritracciamento di Bitcoin e la tempesta macro 🌧️

Nelle ultime ore il prezzo di Bitcoin è passato rapidamente da area 90.000 a circa 86.000 dollari, con una candela ribassista che ha spaventato chi guarda solo il grafico quotidiano. Per chi è nuovo, è importante capire due cose: la prima è che Bitcoin è volatile per definizione, la seconda è che molti movimenti di prezzo sono legati al contesto macroeconomico globale, non a notizie del mondo crypto in senso stretto. 📉

Un elemento chiave in questo momento è l’aspettativa di un taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve intorno al 10 dicembre. Le probabilità dei mercati sono passate, in pochi giorni, da circa il 63% a oltre l’80% di chance di un taglio. In teoria, tassi più bassi significano credito più facile e più liquidità a disposizione, uno scenario che storicamente tende a favorire anche asset come Bitcoin. Perché allora il prezzo scende? 🤷‍♂️

Una parte della risposta arriva da un altro angolo del mondo: il Giappone. I rendimenti delle obbligazioni giapponesi, in particolare il titolo a 2 anni, sono saliti fino ai livelli più alti dai giorni che precedevano la crisi finanziaria globale, come mostrato da Barchart su X. Quando i rendimenti salgono così, significa che il mercato percepisce maggiore rischio e instabilità nell’economia. Gli investitori chiedono interessi più alti per prestare denaro allo Stato, perché si sentono meno al sicuro.

Il Giappone, inoltre, è uno dei maggiori detentori di debito statunitense. Se è costretto a vendere parte di questi titoli per gestire le proprie tensioni interne, può contribuire a far salire ancora i rendimenti globali, aumentando l’ansia sui mercati. In questo scenario di tensione macro, gli asset percepiti come più rischiosi e volatili vengono spesso colpiti per primi: tra questi rientra ancora Bitcoin, almeno nella testa di molti operatori istituzionali.

Per chi si avvicina oggi a Bitcoin, la lezione non è “il prezzo scende quindi è finita”, ma il contrario: è essenziale capire il contesto macro e avere un orizzonte temporale lungo. Osservare i cicli passati di ribasso e accumulo è molto più utile che cercare una spiegazione unica per ogni candela rossa. 📊

Formazione Bitcoin professionale: Bailout Academy e BitCare Forum 🎓

In un ambiente dove l’informazione generalista spesso confonde più che spiegare, stanno nascendo progetti di formazione Bitcoin-only dedicati a professionisti, imprese e appassionati che vogliono fare un salto di qualità. Uno di questi è la Bailout Academy, un percorso formativo avanzato che punta a creare un vero e proprio network di esperti su temi fiscali, legali, tecnici e operativi legati a Bitcoin.

Tra i docenti è appena entrato il dott. Pierluigi (Gigi) Turla, commercialista e fiscalista, oltre che fondatore del BitCare Forum di Brescia, ad oggi la più grande conferenza Bitcoin-only in Italia. Il suo coinvolgimento nel progetto è stato annunciato direttamente da lui su X, dove racconta la nuova sfida all’interno di Bailout, come si può leggere nel post di Gigi Turla su X.

Per chi vuole incontrare dal vivo la comunità italiana, il BitCare Forum di Brescia (prossima edizione il 23 maggio 2026) è un appuntamento praticamente obbligato: una conferenza interamente dedicata a Bitcoin, senza altcoin, senza marketing piramidale, ma con interventi tecnici, panel sulla fiscalità, mining, sicurezza e adozione aziendale. È esattamente il tipo di ecosistema che serve per uscire dalla caricatura “Bitcoin = triangolo magico delle spie” e riportare la discussione sul terreno serio delle competenze. 🧩

Strumenti per accumulare e custodire Bitcoin: Relai e BitBox 🛠️

Per chi sta muovendo i primi passi, due domande arrivano sempre: come compro Bitcoin? e come li custodisco in sicurezza?. Il mercato offre ormai decine di soluzioni, ma alcune si sono costruite una reputazione solida nella comunità Bitcoin-only europea.

Per l’acquisto non custodial da smartphone, uno strumento molto apprezzato è l’app svizzera Relai, pensata proprio per rendere semplice il dollar-cost averaging (piano di accumulo periodico) in Bitcoin. L’utente può impostare acquisti ricorrenti, mantenendo il controllo delle proprie chiavi ed evitando piattaforme complesse. L’interfaccia è minimale, le commissioni sono chiare e possono essere ridotte in modo permanente usando codici promozionali dedicati. 📲

Per la custodia a lungo termine, uno degli hardware wallet più rispettati in ambito Bitcoin-only è la linea BitBox, sviluppata in Svizzera. In particolare, il modello BitBox02 e il più recente BitBox02 Bitcoin-only / Nova offrono un buon compromesso tra usabilità, sicurezza, codice open-source e verifica indipendente. La logica è semplice: acquistare Bitcoin è solo metà del lavoro, l’altra metà è mantenerli al sicuro fuori dagli exchange, con chiavi private sotto il controllo diretto dell’utente.

Anche in questo caso, la differenza tra marketing e realtà la fanno i dettagli: firmware open source, possibilità di fare backup sicuri, compatibilità con software wallet seri. Per un principiante, può sembrare complesso, ma è proprio nella custodia sovrana che Bitcoin esprime il suo valore più grande: nessuna banca, nessuno Stato, nessun giornale può decidere al posto tuo cosa fare con i tuoi risparmi. 🔐

Tether sotto attacco: rating, oro e riserve in Bitcoin 🧱

Un’altra notizia che ha agitato i mercati riguarda Tether (USDT), la più grande stablecoin ancorata al dollaro. Da un lato, è emerso che Tether è diventato il più grande detentore indipendente di oro al mondo (escluse le banche centrali), dall’altro l’agenzia di rating S&P ha diffuso un giudizio critico sul rischio che USDT possa non mantenere il peg con il dollaro in caso di forti shock di mercato.

Secondo un servizio riportato da Class CNBC su X, S&P sottolinea l’aumento dell’esposizione a “asset ad alto rischio” come Bitcoin, pari a circa il 24% delle riserve totali, suggerendo che un crollo simultaneo di oro e Bitcoin potrebbe mettere in difficoltà la capacità di Tether di onorare tutti i rimborsi. 🧨

Qui è fondamentale chiarire un punto tecnico spesso ignorato: il modello dichiarato da Tether prevede che ogni nuovo USDT emesso sia coperto prevalentemente da titoli di Stato USA a breve termine e altre attività liquide. Le posizioni in oro e Bitcoin non sarebbero legate direttamente al collaterale di base degli utenti, ma costituirebbero investimenti aggiuntivi ottenuti tramite gli interessi maturati e i profitti dell’azienda. In altre parole, secondo quanto sostenuto dal CEO Paolo Ardoino, se oggi chiedi a Tether di riscattare 1 USDT, quel dollaro non arriva vendendo Bitcoin o oro, ma attingendo alle riserve in titoli di Stato e liquidità.

Ardoino ha risposto alle critiche spiegando che Tether avrebbe circa 215 miliardi di asset totali a fronte di circa 184,5 miliardi di USDT emessi, con 7 miliardi di surplus di riserve e 23 miliardi di profitti accumulati. In quest’ottica, anche in caso di forte flessione del prezzo di Bitcoin e dell’oro, l’azienda sostiene di essere in grado di onorare tutti i rimborsi.

La vera debolezza di Tether, più che contabile, resta il tema della trasparenza: mancano ancora audit completi e indipendenti in stile “big four”, e questo alimenta inevitabilmente dubbi, FUD (paura, incertezza, dubbio) e teorie catastrofiste. Va però ricordato che, piaccia o meno, USDT è oggi una colonna portante dell’intero mercato crypto. Se crollasse improvvisamente, lo shock colpirebbe forte anche Bitcoin nel breve periodo, non perché Bitcoin dipenda da Tether tecnicamente, ma perché gran parte della liquidità di scambio passa ancora da lì.

Per chi è alle prime armi, la conclusione pratica è semplice: non usare mai una stablecoin come conto corrente di lungo periodo. Sono strumenti di transito, non risparmi sicuri. Il luogo finale dei tuoi risparmi a lungo termine, se decidi di investire in Bitcoin, dovrebbero essere chiavi che controlli tu, non token promesse di terzi. 💳➡️🔑

ETF, opzioni e istituzionali: Nasdaq spinge su IBIT 📈

Sul fronte dei mercati regolamentati, una notizia passata forse sottotraccia al grande pubblico ma molto significativa per chi guarda al futuro di Bitcoin come asset globale riguarda l’ETF spot di BlackRock, IBIT. Il Nasdaq ha chiesto alla SEC di quadruplicare i limiti delle opzioni negoziabili su questo ETF, portandoli da 250.000 a 1 milione di contratti, come riportato da Atlas News su X.

Per chi non è pratico: le opzioni sono strumenti derivati che permettono di coprirsi dal rischio o di scommettere in modo più aggressivo sull’andamento di un asset, anche al ribasso (short). Aumentare il limite di opzioni su IBIT significa, in pratica, rendere possibile a molti più grandi investitori istituzionali di gestire posizioni importanti su Bitcoin tramite strumenti regolamentati, senza passare da exchange non regolati.

Questo ha due facce:

  • Da un lato, apre il mercato a capitali enormi che, prima, non potevano toccare Bitcoin per motivi regolamentari o di mandato interno.
  • Dall’altro, aumenta lo spazio per strategie speculative complesse, compresi short aggressivi e arbitraggio tra mercati.

Nel complesso, però, il segnale è inequivocabile: l’ingresso degli istituzionali tramite gli ETF spot non era il punto di arrivo, ma solo la punta dell’iceberg. I mattoni infrastrutturali per integrare Bitcoin nella finanza tradizionale stanno continuando a essere posati, silenziosamente. 🧱

MicroStrategy tra attacchi speculativi, NAV e timore di vendita 🏢

Un altro fronte caldo riguarda MicroStrategy (spesso storpiata in “Strategy”), la società guidata da Michael Saylor che negli ultimi anni è diventata sinonimo di “bilancio aziendale carico di Bitcoin”. L’azienda possiede una delle più grandi riserve di Bitcoin al mondo tra gli attori corporate, e questo l’ha trasformata in una sorta di proxy quotato per esporsi a Bitcoin tramite il mercato azionario.

Negli ultimi mesi MicroStrategy è stata al centro di forti attacchi speculativi, con alcune grandi banche d’affari, tra cui JP Morgan, che ne hanno messo in discussione il modello e la sostenibilità finanziaria. La tensione è salita ulteriormente quando l’attuale CEO, Phong Le, ha aperto all’ipotesi che, in condizioni estreme – ad esempio se il prezzo del titolo dovesse scendere sotto il NAV (Net Asset Value) e non ci fossero altre forme di finanziamento disponibili – l’azienda potrebbe essere costretta a vendere parte dei suoi Bitcoin.

A peggiorare l’incertezza è arrivato un tweet criptico di Michael Saylor in cui proponeva di aggiungere dei “pallini verdi”, interpretato da molti come un possibile segnale legato a future mosse sull’accumulo o sulla vendita. Il mercato odia l’ambiguità: l’idea che il campione della narrativa “never sell Bitcoin” possa trovarsi a vendere per necessità aziendale lascia aperti scenari delicati sia per gli azionisti sia per l’immaginario collettivo.

Per chi guarda da fuori, la lezione è chiara: comprare azioni MicroStrategy non è la stessa cosa che comprare Bitcoin. Il titolo è esposto a rischi aziendali, di governance, di leva finanziaria, oltre ai movimenti del prezzo di Bitcoin. È uno strumento speculativo, non un sostituto della custodia diretta. 🧾

Mercati delle previsioni e arbitraggio: il caso Polymarket 🎯

Allargando lo sguardo oltre Bitcoin, ma restando nell’ecosistema della finanza crittografica, i mercati delle previsioni come Polymarket stanno vivendo una crescita silenziosa ma costante. Si tratta di piattaforme dove gli utenti possono “scommettere” (in realtà fare trading) sull’esito di eventi futuri: elezioni, decisioni politiche, dati economici, risultati sportivi e molto altro.

Un account in particolare ha fatto discutere la comunità: secondo un’analisi riportata da GOATY su X, questo trader avrebbe una win rate del 99,5% su oltre 15.000 trade, con un profitto netto di circa 437.000 dollari in meno di un anno. Come è possibile? Non leggendo meglio il futuro, ma sfruttando con disciplina un piccolo ritardo (lag) tra la chiusura effettiva di un evento nel mondo reale e l’aggiornamento dello stato sul mercato.

In pratica, con capitale sufficiente (circa 100.000 dollari) e attenzione maniacale ai tempi, è riuscito a trasformare micro-inefficienze di pochi centesimi in un flusso di reddito enorme. Questo caso mostra due cose molto importanti per chi si avvicina a questi strumenti:

  • I mercati “decentralizzati” non sono automaticamente perfetti o privi di distorsioni.
  • Le strategie di arbitraggio premiano chi ha più capitale, più velocità e più competenze tecniche.

Non è un invito a imitare il modello, ma un promemoria: dove c’è un mercato, c’è sempre qualcuno più veloce, più informato e più attrezzato. 🏎️

Scrivere messaggi per sempre su Bitcoin: OP_RETURN ✍️

Tra le curiosità tecniche che affascinano molti appassionati c’è OP_RETURN, un’istruzione dello script di Bitcoin che permette di allegare una piccola quantità di dati arbitrari a una transazione. In pratica, consente di scrivere messaggi “per l’eternità” sulla blockchain, a patto di rispettare i limiti di dimensione. È uno strumento tanto potente quanto controverso: da un lato abilita casi d’uso creativi e notarizzazione di documenti, dall’altro può essere abusato per caricare spam inutile sulla rete. 🧾

La Plan ₿ Academy ha pubblicato una guida dettagliata su come utilizzare OP_RETURN con il wallet Electrum: conversione del testo in esadecimale, costruzione dell’output, invio e verifica on-chain. È un ottimo esempio di educazione tecnica di qualità, che mostra fin dove si può spingere la flessibilità del protocollo senza per forza trasformare Bitcoin in un “hard disk globale”.

Per i principianti vale una regola d’oro: Bitcoin è prima di tutto denaro. Usare OP_RETURN per esperimenti didattici può essere interessante, ma riempire la blockchain di messaggi futili significa far pagare a tutti gli utenti, nel lungo periodo, il costo di dati superflui. La libertà d’uso del protocollo va sempre bilanciata con la responsabilità verso l’intero ecosistema. ⚖️

Privacy, GrapheneOS e il braccio di ferro con lo Stato francese 🕶️

Bitcoin nasce in un contesto di attenzione estrema a privacy e sovranità individuale. Non sorprende che molti bitcoiner guardino con interesse a progetti paralleli che difendono gli stessi valori sul piano dei sistemi operativi e dei dispositivi. Uno di questi è GrapheneOS, una variante di Android focalizzata sulla sicurezza e sulla riduzione al minimo delle superfici di attacco.

Secondo un importante annuncio rilanciato da International Cyber Digest su X, il progetto GrapheneOS sarebbe stato pesantemente preso di mira dallo Stato francese proprio perché fornisce dispositivi altamente sicuri e si rifiuta di includere backdoor per l’accesso delle forze dell’ordine. Le autorità francesi avrebbero deciso di trattare GrapheneOS alla stregua di aziende che vendono spyware chiuso, chiedendo di fatto una porta d’ingresso dedicata al governo.

Di fronte al rifiuto, gli sviluppatori di GrapheneOS hanno preferito abbandonare il mercato francese piuttosto che compromettere l’integrità del loro sistema operativo. È un precedente importante, perché mette sul tavolo in modo brutale la domanda che riguarda tutti, bitcoiner e non: vogliamo dispositivi progettati per essere sicuri contro chiunque, o dispositivi progettati per essere sicuri contro tutti tranne lo Stato?

La connessione con Bitcoin è diretta: senza dispositivi sicuri, la sovranità sulle proprie chiavi private resta un’illusione. Un telefono con backdoor di Stato rende fragile qualsiasi wallet, qualsiasi conversazione, qualsiasi backup. La battaglia per la privacy non è un vezzo per paranoici, ma una condizione minima per poter esercitare i diritti che Bitcoin promette di restituire ai singoli. 🔒

Libertà di codice e caso Samurai Wallet: il ruolo dell’informazione indipendente 🎙️

Collegato al tema privacy c’è il caso di Samourai Wallet, uno dei wallet Bitcoin più noti per le sue funzioni avanzate di offuscamento delle transazioni, spesso descritte superficialmente come strumenti di “riciclaggio”. In realtà, al centro del dibattito c’è una questione ben più ampia: fino a che punto scrivere e distribuire codice crittografico è un atto di libertà di espressione?

Per approfondire la vicenda, una risorsa preziosa è il Bitcoin Italia Podcast, che ha dedicato una puntata recente proprio agli sviluppi giudiziari che coinvolgono i fondatori di Samourai. Qui emerge il contrasto tra un’interpretazione del codice come semplice “strumento neutro” e una visione che lo equipara direttamente al reato commesso da chi lo utilizza male.

Per il neofita è facile cadere nel tranello “se difendono la privacy allora difendono i criminali”. La realtà è più complessa: gli stessi strumenti che proteggono un dissidente in un regime autoritario possono essere abusati da un truffatore, così come un coltello può servire per cucinare o per ferire. Criminalizzare la tecnologia in sé significa, nella pratica, limitare i diritti di tutti per colpire pochi. Bitcoin, con la sua architettura trasparente ma resistente alla censura, si trova esattamente nel mezzo di questo conflitto culturale e legale. ⚖️

Audit su Bitcoin Core: sicurezza, bug e fiducia nel codice 🧪

Un’altra notizia passata in sordina ma di importanza enorme per chi tiene Bitcoin a lungo termine è l’audit di sicurezza su Bitcoin Core, il software di riferimento con cui la maggior parte dei nodi della rete partecipa al consenso. Bitcoin è open source, chiunque può leggere il codice, ma questo non significa che chiunque lo faccia davvero. Per questo esistono audit indipendenti commissionati a team specializzati in sicurezza.

L’ultimo rapporto reso pubblico da OSTIF (Open Source Technology Improvement Fund) analizza in profondità porzioni cruciali del codice di Bitcoin Core, cercando vulnerabilità potenzialmente sfruttabili. L’obiettivo non è “trovare lo scandalo”, ma rafforzare nel tempo la robustezza del protocollo. Il fatto che Bitcoin sopravviva da oltre 15 anni senza exploit catastrofici sul consenso non è frutto del caso, ma di una cultura radicale della prudenza e del controllo incrociato.

Per un outsider, può sembrare un dettaglio tecnico, ma è esattamente questo tipo di lavoro che distingue Bitcoin da mille progetti copiati in due settimane e lanciati solo per raccogliere capitale. Una moneta veramente senza autorità centrale deve poggiare su codice controllato con ostinazione quasi maniacale. Ogni audit esterno è un mattone in più nel muro della fiducia tecnica. 🧱

Perché tutto questo conta: tra narrativa tossica e alfabetizzazione finanziaria 💬

Mettendo in fila tutte queste notizie – la copertina surreale de L’Espresso, lo studio che dimostra l’inefficacia dei ban, la tensione sui tassi, i dubbi su Tether, la corsa degli ETF, i mercati delle previsioni, GrapheneOS, Samourai, l’audit di Bitcoin Core – emerge un filo conduttore chiaro: Bitcoin non è più un oggetto di nicchia, ma un’infrastruttura che tocca macroeconomia, geopolitica, diritti civili, informatica, sicurezza digitale.

Quando un grande settimanale riduce tutto a “moneta sporca delle spie”, non sta solo sbagliando un simbolo grafico: sta diseducando il pubblico, alimentando paura al posto di comprensione. Dall’altra parte, chi vive di Bitcoin ha la responsabilità opposta: spiegare con pazienza, portare dati, distinguere tra rischi reali e leggende metropolitane, insegnare alle persone come usare questi strumenti in modo consapevole e responsabile.

Per un lettore alle prime armi, il primo passo non è comprare Bitcoin, ma studiare: capire che cos’è un nodo, che cos’è una chiave privata, cosa significa davvero decentralizzazione, perché la privacy non è un lusso ma una necessità. Solo dopo ha senso parlare di prezzi, piani di accumulo, hardware wallet e strategie di lungo periodo. Fino ad allora, ogni copertina sul “triangolo infinito” resterà solo un sintomo di un problema più grande: la nostra colossale analfabetizzazione monetaria e digitale.

Bitcoin non promette miracoli facili. Promette qualcosa di più scomodo ma più solido: responsabilità personale in cambio di libertà. Sta a noi decidere se accontentarci di triangoli finti in copertina o pretendere finalmente di capire come funziona davvero il denaro che usiamo ogni giorno.